Per qualcuno che si avvicina alla lettura la cosa più importante è evitare libri difficili, uno shock iniziale potrebbe incrinare tutto un possibile futuro di lettore. Per la fantascienza questo vale ancor di più.
Introduzione abbastanza inutile per il taglio personale del blog, non mi avvicino di certo alla fantascienza o alla lettura con Hyperion.
Dan Simmons è molto stimato non solo dai cultori della fantascienza, infatti è uno scrittore poliedrico che tratta anche ricostruzioni storiche, avventure, gialli.... pluripremiato, insegna in Colorado in una scuola per ragazzi con intelligenza sopra alla media.
Da un uomo del genere e dal clamore mondiale raggiunto dai Canti di Hyperion, mi aspettavo molto. Forse troppo.
Mi piaceva che l'idea fosse ripresa da Keats (molto molto molto presente nel romanzo), mi piaceva lo stratagemma del pellegrinaggio (durante il quale i partecipanti raccontano della propria vita) ripreso da Chaucer (e, perché no?, da Boccaccio), mi piaceva l'idea che fosse il primo libro di una space opera composta da quattro volumi. Tutto ciò mi piace ancora... e notevole è il tasso di originalità presente nella situazione dell'umanità, dei viaggi spaziali, della tecnologia in senso lato.
Una cosa però mi ha reso la lettura difficoltosa: la drammaticità delle storie (leggendo il dramma umano di Sol, mi è venuto il groppo alla gola, ma anche le altre non scherzano...). La sofferenza raggiunge livelli davvero eccessivi, non capisco il perché.
Tralasciando altri dubbi che mi sorgono pensando al romanzo, chiudo con una certezza: non mi piacciono i romanzi che non finiscono; è vero, ci sono altri tre capitoli, ma, per il mio gusto, alcune parti della trama dovevano chiudersi in questo volume...
Il Mago di Oz non mi piace per niente! (solo chi lo ha letto può capire...)
P.S. spero, dopo aver parlato male del libro, di non ricevere una visitina dallo Shrike...
Introduzione abbastanza inutile per il taglio personale del blog, non mi avvicino di certo alla fantascienza o alla lettura con Hyperion.
Dan Simmons è molto stimato non solo dai cultori della fantascienza, infatti è uno scrittore poliedrico che tratta anche ricostruzioni storiche, avventure, gialli.... pluripremiato, insegna in Colorado in una scuola per ragazzi con intelligenza sopra alla media.
Da un uomo del genere e dal clamore mondiale raggiunto dai Canti di Hyperion, mi aspettavo molto. Forse troppo.
Mi piaceva che l'idea fosse ripresa da Keats (molto molto molto presente nel romanzo), mi piaceva lo stratagemma del pellegrinaggio (durante il quale i partecipanti raccontano della propria vita) ripreso da Chaucer (e, perché no?, da Boccaccio), mi piaceva l'idea che fosse il primo libro di una space opera composta da quattro volumi. Tutto ciò mi piace ancora... e notevole è il tasso di originalità presente nella situazione dell'umanità, dei viaggi spaziali, della tecnologia in senso lato.
Una cosa però mi ha reso la lettura difficoltosa: la drammaticità delle storie (leggendo il dramma umano di Sol, mi è venuto il groppo alla gola, ma anche le altre non scherzano...). La sofferenza raggiunge livelli davvero eccessivi, non capisco il perché.
Tralasciando altri dubbi che mi sorgono pensando al romanzo, chiudo con una certezza: non mi piacciono i romanzi che non finiscono; è vero, ci sono altri tre capitoli, ma, per il mio gusto, alcune parti della trama dovevano chiudersi in questo volume...
Il Mago di Oz non mi piace per niente! (solo chi lo ha letto può capire...)
P.S. spero, dopo aver parlato male del libro, di non ricevere una visitina dallo Shrike...
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